12 settembre 2017

La pesca del pesce spada nello Stretto di Messina.






La leggenda dice che alla morte di Achille i suoi guerrieri Mirmidoni, espertissimi lancieri, per la disperazione si buttarono in mare e la Dea Tetide li trasformò in pesce spada.
La storia dice che la pesca al pesce spada si praticava già nel II° secolo a.C., difatti storici greci di quel periodo ne descrissero dettagliatamente tecnica ed attrezzatura.
Per più di duemila anni, cioè fino a quando le barche andarono a remi, la tecnica di pesca originaria è rimasta pressoché invariata: bisognava avvistare il pesce, inseguirlo o attenderlo, lanciargli un’arma addosso e lottare con lui fino alla morte; già i greco-siculo-calabri pescavano così!
Dall’alto della rocca di Scilla, da terra quindi, una vedetta indirizzava gridando a viva voce una veloce barca sottostante, con a bordo un rematore ed un lanciatore, verso la preda.
L’uomo scagliava una lunga asta fatta di due legnami diversi (quercia ed abete), munita di punta, che si sganciava poi dall’asta; quest’ultima a causa del differente peso specifico dei due legnami, rimaneva in superficie in posizione verticale ed era perciò facilmente visibile e ricuperabile.
Tre personaggi erano quindi indispensabili per questa pesca: la vedetta per l’avvistamento, il rematore per l’inseguimento ed il lanciatore per la cattura.
Però, se dalla costa calabra l’avvistamento poteva essere effettuato e trasmesso a passa voce da varie postazioni sulla terraferma, da quelle ionica e tirrenica del messinese ciò non era possibile, per cui si cominciarono ad usare barche da posta, ferme, munite di albero (ntinna) su cui, novella scimmia, si arrampicava la vedetta (ntinnèri).
Quest’albero diventò sempre più alto: nel 1600 era 5 metri, nel 1700 diventava 15, oggi raggiunge i 30.
La barca si chiamò “filùca” o “filùa” dal greco ephòlkion (scialuppa) e poi dall’arabo faluk, e così si chiama ancora oggi.
Le postazioni per l’avvistamento del pesce si chiamarono poste e nel tempo andarono distribuite equamente alle varie feluche; nel 1700 c’erano 30 feluche e 15 poste.
Ancora oggi i tratti di mare interessati alla passa del pesce spada vengono divisi in poste in base alla quantità di feluche esistenti e vengono annualmente sorteggiati ed assegnati ufficialmente dalla Capitaneria di Porto ai vari capi barca. I guai possono sorgere quando l’avvistamento avviene al confine fra due poste adiacenti, è accaduto anche che nessuna delle due barche inseguitrici si sia fermata e l’una ha sfondato la cabina dell’altra.
Capita pure, più civilmente, che i titolari di due poste vicine si mettano d’accordo e lavorino in società (a patti), così, mentre una scorrazza nelle due poste, l’altra va a cercare i pesci in coste più lontane ed il ricavato andrà poi diviso fra i due equipaggi.
Anche la seconda fase, quella dell’inseguimento, ha subito fino ad un certo punto solo piccole modifiche, per secoli si tese solo a raggiungere la massima velocità e la migliore manovrabilità della barca da inseguimento.
Nacque una imbarcazione tipica, il luntru, leggera, sfilata, velocissima, lunga fino a 6-7 metri che consentiva la presenza di 6-8 abilissimi ed affiatati rematori e dell’indispensabile llanzatùri a prua.
Della presenza nello Stretto del luntru se ne ha notizia certa già dal 1478 e si sa pure che alla fine della passa veniva utilizzato per il trasporto veloce di piccole merci, posta ed informazioni fra le due sponde; era una specie di antenato dell’aliscafo.
L’avvento del motore marino segnò la modifica sostanziale dell’antica pesca: il luntru e la feluca da posta morirono e la figura del rematore non ebbe più senso, ormai l’avvistamento poteva essere fatto non più da fermi ma in movimento e l’inseguimento a motore era molto più veloce.
Fu così che l’ingegno umano realizzò la moderna feluca, unica nel suo genere, fantastica e pittoresca, adatta alle tre fasi della pesca.
L’imbarcazione, sempre più grande e con motori sempre più potenti, venne munita di ntinna alta fino a 30 metri, costituita da un traliccio metallico munito di scala a pioli, in cima alla quale c’è la coffa su cui prende posto la vedetta.
I comandi della feluca: acceleratore, marce e timone, attraverso ingegnosi sistemi di trasmissione furono portati sulla coffa ed azionati dalla vedetta che così assunse il duplice compito dell’avvistamento e dell’inseguimento, dall’alto dei suoi dieci piani di morbidezza aerea.
Però il pesce spada veniva disturbato dal rumore del motore e delle eliche ed inoltre la sola altissima ntinna avrebbe creato problemi di stabilità, per cui la feluca fu dotata sulla prua anche di una passarèlla retrattile lunga fino a 40 metri, anch’essa di traliccio metallico ancorato alla ntinna ed alle strutture della barca da un complicato sistema di cavi d’acciaio e di tiranti.
La passerella è retrattile perché, in caso di vento eccessivo, viene ritirata conferendo così alla feluca una maggiore stabilità; alla sua estremità anteriore, in largo anticipo rispetto alla barca stessa, trova posto u ‘llanzatùri cui spetta l’ultimo atto.
Solo a quest’ultimo personaggio, anche se in condizioni molto più favorevoli, è rimasto invariato nei secoli il compito finale della cattura; con lui deve essere però in perfetta armonia u ‘ntinnèri che deve portarlo in posizione di tiro, e solo se questa armonia c’è, un vecchio pescatore compiaciuto potrebbe osservare: - Minchia, ma sunnu chitàrra e mandulìnu!
“U ‘llanzatùri” è come Nettuno che scaglia il suo tridente, è come il rigorista che deve segnare, non può sbagliare il tiro ed ha la responsabilità del risultato; un solo errore gli può costare decine di vafàntocùlu, ingiurie, sprechi di Santa Nicola ed inviti a cambiare mestiere.
A questo punto la sorte del pesce è segnata; prima libero ed elegante ballerino del mare, ora ferito nel corpo o negli affetti, è destinato a morire, ma lo farà lottando come sempre fino a dissanguarsi e fino all’ultimo respiro.
Le urla ed il linguaggio, dall’avvistamento alla cattura, come la frenesia della lotta, hanno un sapore di antico ed anche le attrezzature usate sono rimaste sostanzialmente quelle di una volta.
L’asta che viene scagliata è adesso un tubo di acciaio zincato, quindi più pesante e perciò può far penetrare meglio la punta nel corpo del pesce.
La punta (traffinèra) è un arpione d’acciaio appuntito munito di quattro alette (ricchi), leggermente incastrato all’asta, con un foro (buttùni) a cui viene legata la corda (calòma) per il recupero finale.
La calòma viene appena appuntata con sottile fil di ferro alla passerella ed è poi contenuta in apposito canestro; un’altra corda serve a recuperare l’asta quando il pesce ferito effettua un’istintiva partenza di difesa (mpaiàta) facendo sganciare l’asta dall’arpione.
Se il pesce è grosso e combattivo e riesce a tirarsi dietro tutta la corda, allora al finale di questa si legano dei grossi palloni di gomma o dei fusti metallici che finiscono per sconfiggere la resistenza del pesce.
Ogni feluca ha 6-7 traffinère ben sistemate con relative corde e canestri di contenimento, ciò perché, oltre che con la parìgghia di pesce spada, ci si può imbattere con branchi di tonni o altri grossi pesci..
Tonni, pesci luna (mole) e squali vanno llanzàti con asta ad unico arpione, mentre per il pesce spada che ha i tessuti più teneri, se ne usa una doppia, ad U, per far sì che, se anche se ne strappa uno, ne rimanga sempre un altro conficcato.
In passato, ai pochissimi ed spertissimi forgiatori di traffineri, veniva riconosciuta una piccola percentuale dei pesce spada pescati con l'arma da loro fabbricata. Mentre la scuzzitta, un piccolo tocco di carne che si trova subito dietro la testa del pesce spada e che è paragonabile al filetto di manzo, veniva data sia ai forgiatori che ai lanziaturi o chi affettava il pesce.
Il pesce spada dello Stretto, viene affettato in loco, anche adesso, con una particolare tecnica di taglio, per mezzo di un affilatissimo coltellaccio, che consente di tagliare fettine di pesce spada addirittura trasparenti se viste in contro luce.
Per l’aguglia imperiale, che è molto più sfilata, si usa addirittura una fiocina (fùscina) a 5-6 arpioni paralleli e stretti per poterla colpire con più sicurezza.
Quando il pesce avvilito e dissanguato si arrende viene recuperato da una piccola barchetta d’appoggio trainata dalla feluca e viene issato a bordo con l’aiuto di un grosso raffio d’acciaio munito di manico di legno (jànciu), mentre la coda viene afferrata da un cappio di corda (toccu o ghiàccu); l’affilatissima spada viene avvolta in un sacco di juta per evitare incidenti.
Con la caddàta d’a Cruci termina infine questo bellissimo rito millenario dello Stretto.
I deliziosi involtini di pesce spada, arrostili e conditi col salmoriglio, vengono preparati in maniera insuperabile dalle donne locali.
In questi ultimi anni, anche per arrotondare i guadagni, nelle feluche vengono ospitati turisti durante le battute di pesca; se saranno fortunati vedranno pescare anche diversi pesce spada, ma capita anche che rimangano a bocca asciutta.
p.s.
Una notizia curiosa:
Quando viene avvistata una coppia di pesce spada e viene prima arpionata la femmina, il maschio la segue fino all'ultimo ed inevitabilmete viene arpionato anche lui.
Se invece viene arpoinato prima il maschio, la femmina fila subito via.
Questo fatto la dice lunga, ma non intendo fare paragoni o infierire .... 😜😂

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